Cercando di capire

Conflitti tra le persone, conflitti nelle persone




Tutti vorremmo che nel mondo trionfasse la giustizia. Il problema è che al mondo ci sono sette miliardi di giustizie. (E. Boncinelli)

Vivere onestamente, non provocare danno ad altri, attribuire a ciascuno il suo. 

Da quasi duemila anni questa massima concentra l'essenza dell'etica laica classica; tuttavia, come accade spesso con le massime, non può essere presa come immediato principio operativo perché la realtà della vita è molto complessa e il principio va "incarnato" nel contesto... interpretato insomma.

Apparentemente, infatti, sui tre principi enunciati nella massima siamo di solito tutti d'accordo, ma già il precetto del vivere onestamente pone problemi molto complessi quando cerchiamo un concetto condiviso di onestà: basti pensare al mondo degli affari, per non parlare dell'uso sessista del termine quando si parla di "donna onesta".

Non provocare danno ad altri sembra precetto universalmente condivisibile, ma ad una riflessione approfondita appare evidente che anche senza intenzioni malevole, e nel pieno rispetto delle leggi, è inevitabile che le mie azioni e i miei comportamenti siano talora causa di disappunto o addirittura dolore a qualcuno, soprattutto quando si tratti di sentimenti, di relazioni interpersonali, di costumi e ordinamento sociale.

L'espressione "a ciascuno il suo" fa venire in mente un romanzo di Leonardo Sciascia (e il film che ne fu tratto) ma l'associazione mentale spesso si ferma lì, alla logica punitiva e vendicativa dell'ordine mafioso. Riconoscere a ciascuno il suo, sul piano etico, implica invece il confronto con l'alterità, l'impossibilità dell'identificazione con l'altro e, dunque, il possibile (e inevitabile) conflitto.

Quando si dice conflitto si pensa spesso che esso sia in sé cattivo, che essere in armonia e andare d'accordo significhi non avere conflitti... ma che noia! Il sale di una buona convivenza (a tutti i livelli, dalla coppia alla comunità umana nel suo complesso) è nella meraviglia delle differenze, le quali inevitabilmente comportano conflitti e scelte. La scelta è infatti la soluzione del conflitto, e consiste nella rinuncia ad una possibilità per attuarne un'altra: il bivio è una metafora perfetta del conflitto, perché se scelgo di andare per una strada rinuncio ad andare per l'altra.

Lo schema sembra semplice, ma non lo è. 

Il conflitto può essere fra persone e gruppi, e allora è più facile a vedersi; ma il conflitto è prima ancora dentro ognuno di noi, perché abbiamo continuamente impulsi, desideri, paure e fantasie in contraddizione fra di loro: il bivio, per continuare con la metafora, non è solo davanti a me sulla strada, è anche DENTRO di me perché entrambi i possibili percorsi hanno i loro pro e i loro contro. Se al bivio Ovada-Ovenga (esiste davvero!) scelgo di andare a Ovada escludo la strada che porta a Ovenga, cioè rinuncio alla possibilità di andare a Ovenga... anche se magari lo desidero. Il problema nasce, a ben guardare, dal fatto che il nostro pensiero e le nostre emozioni sono infinitamente più estesi delle nostre possibilità fisiche, materiali: possiamo desiderare molte più cose di quelle che possiamo avere e fare, possiamo temere molte più cose di quelle che possiamo evitare. Di qui l'inevitabilità di scegliere. Mi piace fare l'esempio del ristorante: quando guardo un bel menu e mi si chiede "desidera?" la risposta giusta sarebbe "tutto", ma scelgo ciò che ordino (o ordino ciò che scelgo, fate voi) rinunciando a parecchi piatti che pure desidero. Come dicevo prima, li desidero ma non posso fisicamente mangiarli tutti, senza contare che lo stesso desiderio (fenomeno psichico sì ma intrecciato con i meccanismi del corpo) finirebbe per estinguersi o addirittura convertirsi in repulsione, come sperimentano tutti coloro che si lascino tentare dai ristoranti con la formula "all you can eat".

Ma c'è di più. Siamo animali relazionali e sociali, viviamo in trame di condivisioni estremamente complesse. Le scelte (e le inevitabili conseguenti rinunce) ci trovano spesso su posizioni diverse, quindi i conflitti si riverberano sui rapporti fra le persone.

Molte scelte sono individuali e spesso riguardano solo chi le compie. Una volta un amico, di fronte a un piatto di spaghetti con le vongole, chiese "una grattatina di parmigiano": credevo che scherzasse, ma quando mi accorsi che diceva sul serio gli portai il parmigiano, precisando (velenoso!) "basta che tu non lo grattugi sui miei". Più complicato sarebbe se avesse chiesto che gli spaghetti fossero MOLTO ben cotti (mettiamo venti minuti)... fino ad arrivare alla necessità di scelte che obbligano anche chi non è d'accordo, come sarebbe decidere la meta di una gita in barca. Il tema delle scelte riguarda tutti noi umani, dall'interiorità individuale alle varie forme di comunità, ed è facile constatare come tradizioni, cultura dominante, leggi e politica ci pongano di fronte a scelte che ci obbligano anche se non siamo d'accordo perché sono prese (o sono state prese) in nome di tutti. E in questo caso funziona benissimo la metafora della barca... a volte anche troppo, quando si dice "siamo tutti sulla stessa barca".

Le cose si complicano, perché le scelte non vengono fatte solo  sulla base di dati fattuali e argomenti razionali, ma sulla base di opinioni ed emozioni: per impegnarci a fare le cose dobbiamo essere (sentirci) coinvolti, averne voglia. E le emozioni NON sono la conclusione di processi razionali e/o volontari, sono spinte (energie) interiori delle quali non possiamo che prendere atto: possiamo decidere se fare o non fare ciò che desideriamo ma non possiamo decidere di desiderarlo o no. Ma spesso nemmeno decidere è possibile, perché le emozioni tendono a realizzarsi in una qualche forma di scarica motoria per vie nervose molto più "antiche" di quelle che noi esseri umani abbiamo sviluppato da poche centinaia di migliaia di anni, che non abbiamo ancora imparato bene ad apprezzare e usare. Intendo il pensiero simbolico cosciente e riflesso, che ci consente di ricordare, prevedere e dunque progettare. Se agiamo, come spesso accade, seguendo l'impulso (chiamandolo magari in vari modi, emozione, cuore, istinto...) non è chiaro chi abbia deciso, tant'è vero che se le cose non vanno bene si dice spesso "è stato più forte di me", "ho agito d'impulso", "non so perché l'ho fatto": ma allora, chi ha agito? chi ha deciso? Gli esseri viventi hanno vissuto per centinaia di milioni di anni e si sono evoluti sviluppando meccanismi di risposta alle situazioni della vita, meccanismi che, se efficaci, si sono fissati caratterizzando le diverse specie. Da un certo punto del passato gli umani hanno sviluppato attitudini del tutto nuove, che si sono aggiunte ad attitudini più antiche che ci caratterizzano ancora e sono aspetti fondamentali della nostra attività psichica... in breve, non è che le capacità di linguaggio simbolico, pensiero astratto e via dicendo abbiano sostituito le capacità caratteristiche dei nostri antenati di un milione di anni fa, si sono aggiunte gradualmente nel tempo: tranquilli, non siamo diventati dei freddi computer! Come i nostri progenitori, e come molti esseri viventi con un minimo di complessità, siamo ben attrezzati per provare piacere desiderio e curiosità, e ahinoi anche dolore paura e noia: solo che abbiamo un apparato psichico potentissimo con grande capacità di accumulo ed elaborazione delle infinite esperienze che costituiscono il fluire della vita.

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. / Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Si tratta del Carme 85 di Gaio Valerio Catullo, poeta latino del primo secolo a.C. Come sempre, soprattutto quando si tratta di arte, la traduzione è impresa ardua: mi piace proporre quella di Stefano Benni, che coraggiosamente (lui che è bolognese) ne propone una versione in napoletano.

Odio e amo: / fusse che chiedi: / comme faccio? / Nunn'o ssaccio / ma lo faccio / e mme sent' nu straccio.

Questa brevissima poesia è una delle più famose e amate della letteratura di tutti i tempi... ma quel che ora mi importa è mettere in evidenza la struggente consapevolezza, nel poeta, del conflitto emotivo. Egli lo esprime, e così lo sente, come straziante proprio in quanto conflitto fra due sentimenti fortissimi che egli avverte contemporaneamente, senza difese. E per lui il bivio è paralizzante e dolorosissimo, tanto che usa la parola excrucior, ne sono crocifisso. La sua lucidità introspettiva è, appunto, senza difese, egli si apre al dolore della lacerazione senza fingere, senza raccontarsela, come diremmo oggi. A livelli così profondi di dolore il funzionamento delle difese psichiche comporta innanzitutto una deformazione della rappresentazione della realtà, che viene semplificata alterata e mutilata per non far percepire la lacerazione delle nostre emozioni. In una situazione di questo tipo è reazione abituale la scissione dell'oggetto di amore/odio, con una semplificazione che permette di polarizzare (spesso con ritmi alterni) le emozioni su uno dei due estremi: solo odio o solo amore, con oscillazioni ed esiti anche terribili ma con il vantaggio di farci sentire "vivi e attivi", cioè non schiacciati dal dolore.

Ma allora, tornando all'inizio, non si può vivere senza conflitti? La risposta è decisamente NO, credo che dovremmo essere d'accordo... e voglio concludere con un esempio classico, quello del conflitto nella coppia. Per semplificare il discorso facciamo l'esempio estremo: che fare quando l'amore muore? Come diceva un mio collega anni fa: sforzarsi di mantenere il rapporto di coppia quando l'amore è morto è come truccare un cadavere, quindi se dopo tutti i tentativi il legame si rivela veramente insostenibile non si può che prenderne atto e trarne le conseguenze. Ma è raro che la cosa si possa fare con cordialità e leggerezza, molto facilmente ci sono dolori interessi e rancori che possono comportare situazioni conflittuali anche gravi: i conflitti ci sono perché diversi e contrastanti sono gli investimenti emotivi, il dolore e le conseguenze sul piano esistenziale. Se io soffro perché mia moglie non vuole più stare con me e non è pensabile che cambi il suo sentire, il nocciolo della questione è come riuscire a pensare insieme la nostra storia in modo che il dolore della separazione trovi un senso che lo renda sopportabile. Non sembrano percorribili altre strade, visto che le emozioni non si costruiscono a tavolino e anche se fosse possibile costringere mia moglie a stare con me nemmeno io alla lunga sarei contento, perché in realtà il mio desiderio vero è che lei stia con me amandomi! E infatti Catullo, che vorrebbe essere amato con più fedele dedizione, affronta il conflitto accogliendo la sofferenza che gli deriva dal sentire odio per l'amata che pur resta amata e dunque ugualmente fonte di gioia e piacere. Alla faccia del cosiddetto buon senso che suggerirebbe "o la odi o l'ami"... tutte e due le cose, accidentaccio. Un'arguta riflessione sull'andamento altalenante che spesso hanno i conflitti amorosi ci viene offerta da una vecchia storiella della tradizione ebraica.

Moses dice ad Abraham: quasi tutti i giorni Sara e io discutiamo anche aspramente su tutto, a volte diciamo che dobbiamo proprio divorziare... poi vien sera, e dopo cena si va a letto....

Il conflitto, sia interpersonale sia intrapsichico, cioè all'interno della mente di una persona, è il motore e il sale della vita. Purché sia gestito con tolleranza, con attenzione alla complessità e all'articolazione della realtà interna e della realtà esterna, in una logica che tenda alla comprensione e all'inclusione piuttosto che alla contrapposizione. In questo monologo di Ivano Marescotti assistiamo ad un crescendo di sottigliezze e contrapposizioni che isola sempre più il personaggio fino ad una sorprendente conclusione in cui, a forza di dividere e recidere, scopre la scissione anche in se stesso.


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